Siamo a Morgex, patria del Prié Blanc, vitigno autoctono valdostano. La vite di ghiaccio, la chiamano così da queste parti, perché stabilisce un connubio inscindibile con la montagna. Perché sì, Morgex è montagna.
Il Monte Bianco è lì, a pochi chilometri. I vigneti di Ermes Pavese, produttore particolarmente conosciuto anche fuori dai confini della Valle d’Aosta, sono roccia, terrazzamenti, ripide pendenze.
Nell’azienda di famiglia, che porta avanti una tradizione legata in modo indissolubile alla terra, alla pietra, Pavese punta tutto sul Prié. La figlia Ninive fa la spola tra la cantina e il laboratorio del fratello Nathan, che coltiva patate per le sue “Chips”, conosciute in tutta la valle.
Arrivo a Morgex con l’entusiasmo di un bambino. Mi accorgo poi di aver sbagliato la data della mia visita, chiedendo per il 31 agosto al posto del 31 luglio. Poco male, Ninive mi accoglie comunque e mi conduce nella cantina, dove balzano all’occhio le vasche colorate con disegni e piccole opere. “Un amico di mamma ha disegnato le nostre etichette”, racconta la giovane. “Ma l’altra curiosità che riguarda le nostre bottiglie di spumante metodo classico è la scelta del cognome più il numero romano, a seconda dei mesi di affinamento sui lieviti. Non sapevamo che nome dare alle nostre bollicine, così abbiamo pensato di ispirarci alla Champagne, dove il cognome è particolarmente identificativo”.
Ninive Pavese mi accompagna in un viaggio fantastico. Partiamo dalla bollicina più giovane, Pavese XVIII (Prié Blanc 100%, manco a dirlo). Uno spumante metodo classico non dosato (come tutti quelli di casa Pavese), dove le note floreali sono predominanti. Mineralita e sapidità a cascate. Una bollicina schietta, giovane. Colpisce la finezza.
Pavese XXIV colpisce per l’ampiezza al naso, le note floreali ed erbacee. In bocca si percepisce la tostatura, la pietra ma anche un frutto giovane. Trionfano sempre mineralità e sapidità.
Pavese XXXVI è la bollicina più complessa: c’è la roccia che ritorna imperiosa ma anche agrumi e mandorla. Una nota di frutta matura si fa sentire in bocca così come un tono burroso particolarmente ammiccante.
Non conoscevo le bollicine di Ermes Pavese, dopo aver assaggiato il noto Blanc de Morgex, probabilmente il vino più rappresentativo, al Mercato Fivi di Piacenza 2017. Mi hanno stupito per la bellissima coerenza nei tempi di affinamento e per il caleidoscopio di profumi che richiamano, uno per uno, il terroir dal quale derivano.
Si passa poi ai fermi. Ognuno con una storia.
Le Sette Scalinate richiama il nome del vigneto più importante dell’azienda (70 anni), prodotto soltanto nella versione magnum.
Fermentazione in acciaio con frequenti batonnage, 10 mesi di affinamento in bottiglia.
Ne esce un vino che, forte della sua acidità sullo sfondo, si fa apprezzare per la frutta matura, le erbe di campo e le spezie.
E poi c’è Tondo, con il passaggio in anfora che conferisce una sorta di stratificazione di profumi e sentori. In bocca è pieno, potente, nervoso, saltellante.
Un’altra storia è quella che riguarda Uno Percento 2017, chiamato così perché fu proprio l’1% della produzione di Ermes a resistere alle gelate di aprile 2017, anno terribile per la viticoltura della Valle d’Aosta (e non solo). Un vino fatto senza alcun tipo di “gioco” enologico. Naturale, come una volta. Una chicca da assaggiare per calore ed esplosività dei profumi.
Nathan è il vino dedicato al figlio. Qui abbiamo una fermentazione fatta in barrique di rovere e un affinamento in bottiglia per 10 mesi. Caldo, con una bella tostatura, morbido, con tanta frutta matura e una pur sempre percepibile spalla acida.
Ninive è invece l’etichetta dedicata alla figlia. Bianco da uve stramature (vendemmia tardiva), fa sentire un’esplosione di frutta (albicocca in primis), miele e grande morbidezza fra note erbacee e spezie.
Non capita spesso di assaggiare così tante sfaccettature e altrettante interpretazioni di uno stesso vitigno. Ciò che colpisce dei vini di Ermes Pavese è la grande capacità di produrre vini schietti, uniti indissolubilmente alla terra ma nello stesso tempo pensati. C’è razionalità ma anche grande voglia di sperimentare. C’è sincerità ma anche una grande, per non dire unica, voglia di stupire.