Un’enciclopedia del vino. Roberto Gardini, docente del corso superiore di Sala-Bar ad

ALMA e fra i maître sommelier più apprezzati d’Italia, conosce a menadito denominazioni, etichette, annate e sfumature. Sentirlo parlare, come mi è capitato di fare a Verona ad un corso di formazione organizzato dall’Ordine dei Giornalisti, è semplicemente una goduria per passione, competenza e capacità di snocciolare aneddoti e curiosità.
Ho avuto la possibilità di intervistarlo per fare il punto sulla spumantistica italiana.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Professor Gardini, le bollicine italiane metodo classico si possono riassumere nelle due denominazioni principali e famose, Franciacorta e Trentodoc?
«Il mondo delle bollicine italiane è molto vario: sicuramente, negli ultimi anni, si stanno affermando su ottimi livelli pure l’Alta Langa – una denominazione piuttosto nuova ma ruspante – e l’ Oltrepò Pavese, soprattutto con i rosé di Pinot Nero. Ma non possiamo dimenticare le Marche, con il Verdicchio metodo classico, vino di grande personalità, oppure la Sicilia con il Nerello Mascalese, la Campania con il Greco e il Friuli con la Ribolla Gialla. In Toscana si stanno addirittura riscoprendo vitigni autoctoni per la produzione degli spumanti».
E non è tutto, verrebbe da dire…
«Assolutamente. In Emilia, il Lambrusco di Sorbara, con soste sui lieviti da 36 a 48 mesi, nelle degustazioni alla cieca dà più soddisfazioni di alcuni Champagne. E poi c’è il Prosecco di Valdobbiadene che, pur essendo ottenuto con un metodo diverso, il Martinotti, è sicuramente un prodotto di enorme piacevolezza».
Torniamo al “bipolarismo” delle bollicine italiane, Franciacorta e Trento. Come si pongono nell’eterno confronto con la Champagne?
«Va fatta una premessa: gli enologi italiani lavorano benissimo, proprio come quelli francesi. Il successo dei Transalpini sta nella tradizione e nella bevibilità dei prodotti. Poi, ovviamente, c’è una differenza fondamentale, che sta nella composizione del terreno: il calcare e il gesso della Côte des Blancs dalle nostre parti ce li sogniamo. Attenzione, però: in Italia produciamo bollicine comunque prestigiose e interessanti, con il Trentino che si avvicina, soprattutto per il terroir, alla realtà della Champagne».
Cosa ne pensa della “sterzata” dei consumatori verso i prodotti “Extra Brut” e “Pas Dosè”?
«Una moda. È vero che, per quanto riguarda il metodo champenoise, la riduzione al minimo del dosaggio dà origine a vini più diretti e rappresentativi del territorio. Tuttavia, agli inizi del ‘900 si bevevano spumanti con residui di 100 g/l mentre ora meno zucchero c’è meglio è. La stessa cosa è successa con la barrique: una volta se uno spumante non aveva fatto il passaggio in legno non veniva considerato. Ora, invece, i produttori stanno cominciando addirittura ad abbandonarlo».
A proposito di mode, in Italia si stanno facendo largo i metodo classico rosé…
«C’è una bella cultura e per quanto riguarda i rosé non parlerei di mode, sia per quanto concerne quelli ottenuti dal contatto con le bucce, sia per quelli da assemblaggio. Come ho già detto, nell’ Oltrepò Pavese, con il Pinot Nero, si sta producendo molto bene».
Francesco Vigato