Lo Schiava è un vino spesso e volentieri bistrattato e messo da parte in nome di altre etichette decisamente più “pop” e note in tutto il mondo. Fino a pochi decenni fa, infatti, l‘80 per cento della superficie in Alto Adige era coltivata con il vitigno Schiava.

Percentuale scesa in pochi anni al di sotto del 20 per cento. Grazie ad alcuni pionieri e produttori, lo Schiava, vino quotidiano delle montagne, sta riacquistando dignità e voce in capitolo nel mare magnum della tradizione vinicola italiana. Esso prende il nome da un vitigno probabilmente di origine slava, più precisamente della Slavonia, regione croata delimitata dai fiumi Sava e Drava. Oppure, c’è chi dice che l’appellativo derivi dall’abitudine di “legare” le viti invece di lasciare liberi gli alberelli. In ogni caso, sembrerebbe che il vitigno Schiava sia arrivato nel nostro territorio con i Longobardi, non più tardi del XIII secolo. In Italia, oltreché in Alto Adige (dove prende il nome di Vernatsch dal latino “vernaculus” che significa “nativo”), viene coltivato nelle province di Verona e di Brescia.

I grappoli grandi, formati da acini vigorosi, danno origine ad un vino molto leggero e semplice, ma che trova proprio in questa sua facilità di approccio la sua peculiarità più intrigante. Esistono però vari cloni e varianti: la Schiava Grossa (Grossvernatsch), la Schiava Gentile (Kleinvernatsch) e Schiava Grigia (Grauvernatsch).

Produttori come Elena Walch – che grazie all’impegno di Elena, Julia e Karoline Walch diffonde dal 1988 fra Termeno e il Lago di Caldaro, cultura del vino, amore per la vite e disciplina enologica vicina alla perfezione – sono riusciti a conferire a questo prodotto quasi dimenticato qualità ed eleganza.

Sui suoli calcarei di media altitudine, dove il clima mediterraneo incontra le forti escursioni termiche delle notti montane, lo Schiava ha trovato l’habitat perfetto.
Abbiamo assaggiato l’annata 2018 che, comunicano dalla cantina Elena Walch, «si è presentata con una qualità eccellente». In bottiglia eccellenza e rigore produttivo si sentono tutti, perché lo Schiava 2018, con il suo rosso rubino, al naso fa sentire viola e mandorla amara, ma anche i più classici sentori di ciliegia e fragolina.
In bocca è fresco, leggero, con tannini quasi impercettibili. Grazie alla sua spiccata armonia, la Schiava può essere abbinata ad una vasta gamma di piatti, dalle carni rosse a ricchi antipasti, piade e crescine sfogliate.