La lungimiranza di Madame Barbe Nicole Ponsardin, la celebre “Veuve” delle bollicine. Ecco la storia della Cuvée St. Petersbourg di Veuve Clicquot

Champagne è tradizione. Ma anche capacità e glamour, tecnica e status symbol. Lo spumante più conosciuto del pianeta è magia e marketing, che dalle Grandi Maison ai  vignaioli indipendenti riesce ancora a celebrare la leggenda di Pierre Pérignon, monaco francese dell’Abbazia benedettina di Hautvillers (situata nella regione della Champagne-Ardenne) che inventò, appunto, le mitiche bollicine.

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La vedova Clicquot

Ammettiamolo pure: quando ci si trova fra le mani una bottiglia di Champagne, dalla cuvée più tradizionale e diffusa (e magari meno costosa) al millesimè più ricercato, proviamo tutti un certo timore reverenziale. Ecco perché questo vino diventa la ciliegina sulla torta di un evento importante o il coronamento di una serata in compagnia e (quasi) mai, almeno dalle nostre parti, un aperitivo disimpegnato.

È altrettanto bello, però, conoscere le storie delle varie Maison. Prendiamo come esempio, proprio per raccontare il nostro ultimo assaggio, la Veuve Clicquot, fra le etichette più conosciute e apprezzate del pianeta. Chi era questa vedova Clicquot? E perché è così famosa?

 

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Partiamo dunque da François Clicquot, figlio di Philippe (proveniente da una famiglia di banchieri e mercanti tessili) che nel 1772 fondò l’azienda a Reims per allargare gli affari di famiglia. François, come il padre, aveva l’ambizione di espandere la nuova attività in tutto il mondo, anche se il suicidio del visionario transalpino – avvenuto nel 1805 – mise a repentaglio la crescita del marchio. Nessuno aveva però fatto i conti con sua moglie, la 27enne Barbe Nicole Ponsardin, che – rimasta vedova – si mise alla guida dell’azienda, mise a punto con l’ausilio del suo cantiniere le tecniche del remuage e del degorgement (la sboccatura) e portò lo Champagne – nella nuova veste cristallina – in tutto il mondo, affermandosi come una delle più grandi donne-imprenditrici in un mondo ancora maschilista.

A lei si deve addirittura il primo “contrabbando” di Champagne in Russia nonostante il Blocco continentale del 1814 e l’embargo commerciale, che permise alle bollicine della Veuve di farsi conoscere dall’Alta borghesia russa e dagli Zar.

A questo avvenimento è dedicata la Cuvee St. Petersbourg, che abbiamo avuto modo di assaggiare nei calici in policarbonato (destinati al pubblico più “festaiolo” dei bordo piscina o delle discoteche) e nei bicchieri “a tulipano” in vetro.

Prodotta con uve selezionate Pinot Nero (50%), Pinot Meunier (20%) e Chardonnay (30%) provenienti da 60 vigneti Grand Cru e Premier Cru, la Cuvée St. Petersbourg vanta una percentuale di vini di riserva con invecchiamento di nove anni.

Con il suo giallo paglierino con riflessi dorati, questo Champagne fa sentire subito al naso sentori di frutta matura, mandorle e burro.

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Il nostro assaggio

In bocca sprigiona tutto il suo carattere senza eccedere in complessità con le parti acida e sapida che si dividono la posta in palio per un sorso di raro equilibrio e piacevolezza. Il finale è persistente e appagante.

Come vuole la tradizione, questa bottiglia si presta al sabrage, la nobile arte (divenuta poi una sorta di rituale modaiolo) degli ussari, soldati che facevano spesso visita alla Veuve, aprendo le bottiglie con dei coreografici colpi di spada.

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