La primavera e l’estate, solitamente, “chiamano” nel calice profumi primari, quelli che il Metodo Charmat privilegia ed esalta. Ma queste sfortunatissime domeniche di maggio, dominate dalla pioggia, dal vento e da una malinconia tipicamente autunnali, mi hanno “ricondotto” verso il Metodo Classico, con le sue complessità e gli equilibri tutti da interpretare.
Detto ciò, relativamente alla degustazione odierna, va fatta un’altra premessa: negli anni ho maturato uno strano rapporto con la Franciacorta e i suoi vini. Spesso arenatisi sulla scia della bolla croccante e dei sentori di crosta di pane, nella zona spumantistica bresciana ho trovato difficilmente – almeno nei prodotti “base” – qualcosa che mi convincesse senza “se” e senza “ma”.
In questo senso, l’aumento esponenziale delle bottiglie vendute negli anni fra Adro e Gussago – nel 2000 59 aziende per 3.8 milioni di bottiglie, nel 2017 almeno 116 produttori per 14 milioni, addirittura 17 milioni nel 2018 – ha portato questa denominazione, come altre, ad un abbassamento della qualità media degli spumanti “entry level”.
Fortunatamente, alcuni produttori hanno capito che la strada della qualità, sul medio-lungo periodo, viene premiata dai consumatori, sempre più interessati alle filosofie aziendali e alla viticoltura attenta e sostenibile. C’è ancora molta strada da fare nella comunicazione e nella cultura del vino, certo, ma i presupposti per arginare il mondo sommerso (e non troppo) delle bottiglie “dimenticabili” ci sono tutti.
Oggi ho avuto modo di degustare un nuovo “progetto”: si tratta de I Barisei, riconducibile alla famiglia Bariselli che, ad Erbusco – cuore della Franciacorta – produce con il marchio Solive il Franciacorta abbinato ai gustosi pranzi dell’omonimo agriturismo di Nigoline di Corte Franca, aperto negli anni ’90 da Francesco e Gianbattista Bariselli con i figli Gian Mario, Donatella, Ludovica e Stefania. Nel 2011 sono state poi affiancate ai Solive Franciacorta DOCG, le prime bottiglie destinate a fregiarsi del marchio “I Barisei”, firmati proprio da Gian Mario con il supporto dei consulenti Massimo Azzolini (enologo) e Giuseppe Turrini (agronomo).
L’assaggio di Sempiterre Brut (90% Chardonnay, 10% Pinot Nero, imbottigliato a maggio 2016 e sboccato nell’autunno del 2018) si è rivelato una ventata di aria fresca. E non solo per l’acidità quasi sorprendente per la denominazione ma anche per il naso pulito, con nuance di frutta fresca: mela, limone e lime su tutti. In bocca torna il lime e un tocco salino che invita al rabbocco. Da abbinare a una cena a base di sushi o al fagiano arrosto con patate.
Pur non presentando chissà quale complessità al naso e in bocca, Sempiterre Brut si è rivelato una bollicina convincente. E se è vero che il vino migliore, a prescindere da tutto, è sempre quello che finisce, ecco che la bottiglia di Sempiterre non finirà la giornata (ma forse neanche il pasto) nella spumantiera.