Valle d’Aosta, dai panorami del Lago Chamolé ai capolavori firmati Les Cretes. Giorno 1

IMG_8708 2La Valle d’Aosta, terra di montagne, di castelli, di natura. Di vino. Una settimana, quella vissuta fra Aosta, Courmayeur, Chatillon, Cervinia e Morgex che mi ha aperto gli occhi verso un nuovo modo di vedere le valli, le rocce, la viticoltura d’alta quota.

Parto, come di consueto, di buon mattino, alle 5. Quattro ore di macchina in direzione Aosta, parcheggio della telecabina che porta a Pila, un comprensorio dove il verde, la terra delle piste per le mountain bike e le cime, dal Monte Bianco al Monte Rosa, creano uno scenario a dir poco intrigante.IMG_8695

Giunto a Pila mi incammino verso il Lago Chamolé, uno specchio d’acqua racchiuso in una conca verde. Da qui il panorama sul Monte Bianco è semplicemente un inno alla serenità e alla maestosità. Ammaliato dalla forza, dalla grandezza e dalla pace di queste montagne proseguo lungo il sentiero, ammirando boschi e assaporando profumi.

Dopo aver mangiato un panino con il prosciutto alla brace, tipico della zona, scendo verso Aosta per raggiungere il luogo che farà da “quartier generale” a tutte le mie scorribande, Hirondelle Locanda & Bistrò.

IMG_8679 2La struttura, diretta dalle brave e giovani sorelle Pellissier, è situata ad Arpuilles, a 1000 metri. Si sale dal capoluogo in 10 minuti, dopo una serie di tornanti neanche troppo impegnativi.

Vengo accolto con grande gentilezza e mi riposo due ore prima di recarmi ad Aymavilles, dove faccio visita alla famiglia Charrere che dal 1989, gestisce un’azienda vitivinicola divenuta, nel corso degli anni, un punto di riferimento nell’intero panorama enoico valdostano, Les Cretes.

Ad accogliermi nello stupendo rifugio del vino c’è Giulio Corti, responsabile delle cantine ed Elena Charrere, figlia del “pioniere” di casa Les Cretes, Costantino, tra i fondatori nonché primo presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.

Giulio Corti mi “carica” nella sua auto e mi porta a poche centinaia di metri dall’attuale sede di Les Cretes, in un vecchio immobile appartenente alla famiglia Charrere – una sorta di casa-bottega – in cui, tra macine e presse, veniva prodotto sidro e olio di noce.

Un posto magico, che fa tornare indietro di 100 anni, tra pietra, vecchie bottiglie e attrezzi in legno. Si parte poi per il vigneto del Coteau e la torre medievale, il “cru” dell’azienda, una splendida costruzione che ora viene utilizzata per le degustazioni tematiche.

IMG_8759Il terroir, da queste parti, è particolarmente vocato alla viticoltura, praticata sino al 1900 e poi abbandonata, prima di riprendere negli anni ’90.  Il suolo è di origine morenica e sabbiosa, l’escursione termica particolarmente marcata. I vitigni autoctoni valdostani la fanno da padrone nei 20 ettari coltivati su terrazzamenti, fra i 600 e gli 800 metri di altitudine.

I grappoli, in piena fase di invaiatura (la “presa” di colore, per capirci), emozionano per vitalità e capacità di inserirsi un panorama fantastico, dalle Alpi alla “conca” di Aosta.

Giulio mi guida poi al Rifugio del Vino, una costruzione futuristica terminata nel 2014, per la visita alla cantina e la degustazione.

Qui si prende coscienza di quanto lavoro ci sia dietro a una bottiglia di vino, tra la scelta delle basi, i blend, i tempi di affinamento, i passaggi in legno (botte grande o botte piccola), il riposo in bottiglia. Un vino, per emozionare, deve fare i conti con calcoli, prove, attenzione, cura. Il tutto per regalare al consumatore un prodotto di qualità estrema, preciso ma emozionante ed emozionale.

La degustazione parte proprio dal Petit Arvine, chiamato anche vite dei ghiacciai, per la capacità di resistere nei climi più freddi. Si tratta di un vitigno a bacca bianca autoctono valdostano, delicatissimo (soffre i venti forti), bisognoso di sole. I vini sono eleganti e raffinati.

Non fa eccezione l’annata 2019 di Petite Arvine Les Cretes, frutta esotica e pompelmo al naso, in bocca sapido, minerale, diretto, pulito.

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C’è poi Le Fleur (annata 2018, 9 mesi sui lieviti),  caratterizzato da una grande intensità gusto-olfattiva.

Complesso, goloso ed elegante, anche grazie al connubio fra Chardonnay (20 %), Pinot Grigio (20 %) e Petite Arvine (60 %), Neige d’Or colpisce per la nota speziata e l’agrume, arrotondato dalla fermentazione in parte in botte grande e in parte in botte piccola con un affinamento finale in bottiglia per 18 mesi.

A sorpresa assaggio il Rosè, 80 % Petit Rouge e 20 % Pinot Nero. Di un rosa talmente bello da sembrare etereo, Rosé colpisce per la freschezza floreale e fruttata (frutti rossi in prima fila) del naso e il sorso largo, corposo e sapido.
Cuvee Bois (annata 2017) è probabilmente il cavallo di battaglia di Les Cretes. Uno Chardonnay di gran classe, frutta matura e spezie. Ottima sapidità, persistente e con una chiusura che ricorda il burro.  Meno impegnativo – in senso positivo – lo Chardonnay 2018, una perla che si fa apprezzare per piacevolezza. Si passa poi ai rossi: il Pinot Nero 2019 stupisce per intensità e per l’esplosione di frutti rossi ed erbe selvatiche. Un tannino morbido che ritroviamo nel
Intenso e delicato, con fresche note di frutta rossa, piacevoli sentori di sottobosco e salvia. Ritroviamo un tannino delicato nel Nebbiolo Sommet (affinamento in botti di rovere per 12 mesi) con mora e ciliegia che fanno la differenza. Il Fumin, altro autoctono, profuma di Valle d’Aosta: boschi e montagne, frutti rossi e spezie. In bocca è persistente, tannico, elegante.IMG_8779

Il Torrette ha una nota “sassosa” ed erbacea al naso che apre ad un sorso fruttato. Un vino che rappresenta alla perfezione questo vitigno che di montagna è dire poco. Pepatissimo e succoso il Syrah, altro rosso imperdibile per l’interpretazione, data da Les Cretes, di questo vitigno internazionale.

Prima dell’assaggio finale di Neblù, un grande spumante metodo classico di cui abbiamo parlato qui è un’esplosione di pasticceria e caramello l’ottimo Dorè, ottenuto da uve stramature.

Non ci resta che ringraziare Elena Charrere e Giulio Corti per il grande viaggio nel mondo Les Cretes, un’eccellenza assoluta nel panorama enoico valdostano e un luogo da visitare per storia, tradizione e suggestioni.

Si ritorna così da Hirondelle, dove mi aspetta un tagliere di salumi e formaggi. Il sole tramonta sulle montagne, una birra accompagna la cena e il relax.

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