«Sì, le bollicine italiane possono reggere il confronto con i grandi Champagne». La nostra intervista a Roberto Anesi, Miglior Sommelier d’Italia 2017

Ha ricevuto pochi giorni fa a Taormina il premio come Miglior Sommelier d’Italia 2017.

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Roberto Anesi, Miglior Sommelier D’Italia 2017

Roberto Anesi, 45 anni, ladino doc di Canazei, si è guadagnato il prestigioso riconoscimento grazie alla sua conoscenza enciclopedica del mondo del vino e alla capacità di raccontarlo con eleganza e spensieratezza.

Abbiamo fatto due chiacchiere con lui: folgorato sulla via dello Champagne («Una degustazione di bollicine d’Oltralpe mi ha aperto un mondo straordinario»), Anesi ha poi scoperto, nel corso della sua avventura di Sommelier AIS tutte le sfaccettature della spumantistica italiana, a suo dire «un’eccellenza di livello mondiale».

Roberto Anesi, lei nella vita di tutti i giorni è anche ristoratore (è infatti l’anima del Wine-Restaurant “El Pael” di Canazei, ndr). Quali sono le bollicine più richieste?

«Penso vada fatta una distinzione: ci sono consumatori più evoluti, che cercano etichette di nicchia. Altri, invece, sono portati a chiedere un Prosecco o un Franciacorta senza far troppo caso alle differenze fra Metodo Classico e Charmat. Insomma, si basano sul passaparola e sulla pubblicità e, dunque, vanno indirizzati e aiutati nella scelta, nell’uno e nell’altro senso».

In Italia Franciacorta e Trentodoc sono gli spumanti più conosciuti: stesse uve ma terroir diversi. Come riassumerebbe le differenze fondamentali fra queste  importanti denominazioni?

«Il Franciacorta è un vino immediato, generoso, dotato di grande ricchezza alcolica, morbidezza e rotondità. Il Trentodoc, invece, è affilato, elegante, fresco. Anche se il primo ha un grande potenziale commerciale e un forte appeal, la bollicina di montagna si sta facendo conoscere soprattutto fra i degustatori più evoluti, che cercano vini sempre più verticali, tesi e dotati di una spiccata acidità»

E poi c’è il “resto del mondo”: Alta Langa, Alto Adige, Oltrepò Pavese…. Grandi spumanti, certo, ma più difficili da “vendere”.

«Ci sono vini, oltre a quelli che ha citato, di grande valore e qualità. Parlo del Durello394538_4604327234337_241666471_n dei Lessini, del Verdicchio, del Pignoletto dei Colli Bolognesi e di alcuni Metodo Classico pugliesi, che raccontano i rispettivi territori con estrema sincerità. Tuttavia, è più facile trovarli nei ristoranti e nelle enoteche delle regioni di provenienza, proprio perché lì possono essere più conosciuti, richiesti e anche più apprezzati. E poi sono perfetti nei rispettivi contesti culinari, con i prodotti e i piatti tipici. Da non sottovalutare, inoltre, è il fattore-prezzo: è difficile che un cliente opti – faccio un esempio – per un Cruasè dell’Oltrepò Pavese, che è pure un’ottima bollicina, se ci trova di fianco un Franciacorta, magari Rosè, che gli costa uguale».

E poi c’è il Prosecco…

«Il Valdobbiadene Docg è un vino fortemente rappresentativo, che ha una tradizione e molti pregi. Il Prosecco Doc viene prodotto in tutto il Nordest ed è difficile che riesca ad avere un’identità ben definita, riscontrabile nel calice».

Le bollicine stanno diventando vini da tutto pasto. Conferma?

«Assolutamente sì. Finalmente gli spumanti non sono più soltanto vini da festa di laurea, compleanno o per l’aperitivo. Anzi! Si abbinano con risultati fantastici anche a piatti particolarmente saporiti. Penso al Trentodoc con il baccalà o al Franciacorta con le carni. Per non parlare della pizza! Fra l’altro, la cucina italiana è cambiata tantissimo: le nuove tecniche di cottura hanno alleggerito i piatti, facilitandone l’abbinamento con le bollicine».

I nostri Metodo Classico possono competere con i giganti della Champagne?

«Devo dare una risposta come Miglior Sommelier d’Italia (ride, ndr)! A parte gli scherzi, in Italia si producono bollicine di valore assoluto che in molti casi risultano più interessanti di alcuni prodotti dei cugini transalpini. I premi internazionali ricevuti dalle etichette italiane la dicono lunga sulle capacità dei nostri spumantisti».

Francesco Vigato

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