Andrea Miotto è un vigneron di sostanza. È nato e cresciuto sulle “Rive” di Colbertaldo di Vidor (terreni scoscesi e ripidi, caratteristici della zona del Valdobbiadene Docg), ma non si stanca mai di seguirle, curarle, raccontarle in modo semplice, senza dimenticare il lato puramente tecnico. Perché sì, il vino buono è un compromesso tra natura e scienza, tra sacro e profano.

Il suo casale adibito a terrazzo panoramico in mezzo al Fedéra (che dà pure il nome alla linea di etichette Valdobbiadene DOCG delle Cantine Miotto), il vigneto più rappresentativo dell’azienda, è strepitoso e invita al brindisi mentre ci si gode una vista mozzafiato sulle colline dove il Prosecco è semplicemente… Superiore.
Ci siamo affidati proprio alle conoscenze di Andrea (che ha pure esportato il suo “credo” in Nuova Zelanda grazie a uno scambio culturale iniziato ai tempi dell’Università) per capire qualcosa in più sull’invecchiamento degli spumanti, tema tanto interessante quanto dibattuto. Insomma, avete qualche problema a gestire la vostra mini-cantina di bollicine? Ve lo risolviamo.
Vediamo un po’ cosa ci ha risposto. Nel frattempo prepariamo una bottiglia!

Metodo Charmat e Metodo Classico. Perché i vini ottenuti con il primo metodo andrebbero consumati entro l’anno? Quanto può invecchiare veramente un Metodo Classico?
«Le due metodologie sono estremamente diverse e sono principalmente utilizzate per esaltare caratteristiche differenti dei vini. Il Metodo Charmat esalta la freschezza e le note primarie del frutto di partenza; il Metodo classico, invece, esalta la struttura dei vini e bilancia con soste sui lieviti più o meno lunghe la componente acida e sapida, apportando struttura. Direi che il fatto che si consiglia di bere entro un anno i vini ottenuti col Metodo Charmat sia più che altro dovuta all’abitudine di ricercare la freschezza nonché le note fruttate e floreali (come accade per Prosecco o Moscato). Dopo un anno circa queste note tendono ad evolvere in sentori più maturi e magari meno identificativi. Lo Charmat, in più, è un metodo molto tecnico, in cui la tecnologia di produzione (presenza di ossigeno in imbottigliamento, utilizzo del freddo, ecc…) è molto importante. Anche questo aspetto incide sulla durata dei vini. In generale, direi che sono vini che si preferiscono da giovani ma che possono avere evoluzioni anche nei 2-3 anni successivi potenzialmente interessanti. La durata del Metodo Classico, dall’altra parte, è molto legata alla zona di produzione e quindi alla potenzialità delle uve (e dei vini) di sostenere la sosta sul lievito prima della “sboccatura” (fase che prevede l’eliminazione del tappo a corona insieme ai residui di fermentazione contenuti nella bidule – tappo di plastica disposto sotto il tappo corona – , ndr). In generale, comunque, fino a quando il vino non è sboccato può durare molti anni. Dalla sboccatura direi che anche il metodo classico esprime il suo massimo potenziale nel giro di 3-4 anni».
Quali caratteristiche deve avere un Metodo Charmat “invecchiato”, come si suol dire, bene? E quali un Metodo Classico?
«Il Metodo Charmat, anche dopo il primo anno di vita, può risultare interessante, l’importante è che non si vada incontro ad una eccessiva ossidazione del vino in cui viene a perdersi completamente la nota fruttata per andare su note di miele o fieno e soprattutto l’aumentare della nota amara. Una sensazione fruttata (più matura) e la componente fresca dovrebbero rimanere più a lungo possibile. Lo stesso si può dire per un Metodo Classico: la conservazione deve mantenere la quota di freschezza anche se qui la complessità dei vini è maggiore perché abbiamo le sensazioni cedute dal lievito e di una eventuale liqueur che possono incidere nettamente nel gusto».
Nella zona di Valdobbiadene si produce il “Col Fondo”, il vino della tradizione …
«Per il Col Fondo parliamo una lingua a parte: il vino rimane a contatto col lievito e dunque senza ossigeno, in ambiente tendenzialmente riducente. Se non abbiamo tappi di sughero che possono cedere ossigeno o componenti tanniche il vino può avere una longevità sorprendente. Di fatto è lo stesso concetto del metodo classico pre-sboccatura! Anche qui però il limite è dato dalle caratteristiche varietali e, di conseguenza, di un equilibrio nel tempo fino a quando le note primarie dell’uva mantengono fragranza e non vengono coperte completamente dalle note evolutive di sosta sul lievito».
Un vino frizzante/spumante invecchiato può essere abbinato con gli stessi piatti della versione più giovane o la sopravvenuta complessità lo avvicina a piatti diversi?
«Una bollicina più matura cambia le sue caratteristiche organolettiche, e di conseguenza la varietà degli abbinamenti. In linea di massima la maggiore complessità ci allontana dalla freschezza di un aperitivo con cicchetti semplici e ci porta ad abbinamenti più simili a quelli che si farebbero con un vino bianco fermo, magari anche carni bianche o primi piatti di pesce un po’ più strutturati».
Come si dovrebbero conservare gli spumanti, dell’uno e dell’altro metodo?
«La conservazione ha delle regole generali che sono quelle del buio e del fresco, che sono i grandi amici della longevità dei vini. Per quanto riguarda la posizione, se si ha una cantina piuttosto asciutta meglio tenere le bottiglie coricate in modo da mantenere umido il tappo e conservarne l’elasticità e quindi la tenuta. Per soste brevi in cantina, come per chi fa l’aperitivo della domenica (ride, ndr), o per cantine con buona umidità si possono conservare anche in piedi!»
Dopo aver visto aumentare la nostra voglia di bollicine in maniera esponenziale procediamo con l’assaggio di un Valdobbiadene Docg “Fedèra” Brut, spumante che nella tipologia più secca (residuo zuccherino 7,5 g/l) non perde le caratteristiche note floreali e fruttate. Che dire? Per gustarlo al meglio bastano tre cose: calici, una giornata intensa di lavoro alle spalle e buona, anzi ottima!, compagnia.
Dite la vostra!
FV